Organi di governo e magistrature nella Repubblica di Venezia

Il maggior consiglio

Da un primo nucleo di "consiglieri sapienti del Doge" nasce - secondo tradizione nel 1172 - il Maggior Consiglio che diventerà l'organo più importante nella vita politica veneziana. Via via il Maggior Consiglio assumerà diverse competenze: innanzitutto in materia legislativa, poi nella elezione del Doge. Il Maggior Consiglio cresce di numero fino a raccogliere più di mille persone a fine del 1200.

In origine i rappresentanti venivano designati dall'assemblea popolare, la stessa che eleggeva il capo dello stato. Ma con il tempo l'aristocrazia fece perdere ogni potere all'assemblea popolare che nel 1268 era già priva di ogni potere e venne poi sciolta nel 1423.

Il Senato (Consiglio dei Pregadi)

Secondo il Marin Sanudo, tale termine derivava dal fatto che la Signoria usava inviare presso le abitazioni dei senatori i propri comandadori (messi) per pregarli di recarsi a palazzo affinché consigliassero sulle deliberazioni da assumere.

I “messi” battuto sul portone li invitavano con la formula “Pregadi per la Terra venissero a consejo!” (Col termine Terra s'intendeva la città di Venezia in quanto Stato).

Pregare i consiglieri a partecipare non era illogico in quanto una volta accettata la carica essa era obbligatoria e non partecipare alle riunioni non era solo deplorevole nei confronti della Patria, e oltre al fatto che le cariche nelle Magistrature Venete erano gratuite, esponevano il “pregado” come tutti i magistrati che non partecipassero alle riunioni veniva pubblicamente esortato a farlo, senza contare il rischio di incorrere in sanzioni economiche.

 

Il minor consiglio

Il Minor Consiglio sorse, non diversamente dal Maggiore, dai «Sapientes», posti dall'aristocrazia rialtina accanto al Doge.

È incerto l'anno della sua nascita; probabilmente fra il 1172 e il 1178.

I Consiglieri, eletti in Maggior Consiglio in numero di due, diventarono in seguito sei, uno per sestiere. L'eletto non poteva sotto gravi pene rifiutare la carica; durava in ufficio un anno ed era sottoposto ad una contumacia d'altrettanto, portata poi a 16 mesi. Dalla nomina a Consigliere erano esclusi i parenti del Doge e dei suoi figli.

Al Minor Consiglio fin dai primi anni della sua costituzione dovettero essere aggregati i Capi dei Quaranta, chiamati pure in certi casi a compiere le funzioni dei Consiglieri mancanti. Una parte del 1231 prova che, già in quest'anno, l'aggregazione è compiuta e riconosciuta. Consiglieri e Capi di Quaranta insieme formano la Signoria (Dominium). Nel 1437, vennero istituiti i tre consiglieri inferiori, che erano i tre dei sei consiglieri ducali uscenti di carica. Essi non facevano parte del Minor Consiglio, ma rappresentavano la Signoria in seno alla Quarantia Criminale.

Funzione principale del Minor Consiglio era quella di moderare l'autorità del Doge, assisterlo e consigliarlo. Durante la vacanza ducale il governo si restringeva nelle sue mani; curava gli affari in corso e presiedeva alle operazioni per la nomina del nuovo Doge e uno dei Consiglieri, che non fu sempre il più anziano, assumeva le funzioni di Vice Doge.

Ma ancora più importanti erano la funzione di

  • presiedere insieme al Doge - con cui quasi si confondeva - tutti i consigli della Repubblica ed
  • il diritto d'iniziativa, cioè di mettere parte, riconosciuto dapprima alla maggioranza del Minor Consiglio, poi pure alla minoranza, ai singoli consiglieri ed ai tre Capi di Quaranta.

A questi ultimi era, però, fatto obbligo di dare lettura del progetto di parte, in precedenza, a tutto il Minor Consiglio, il quale poteva stabilire una dilazione di tre giorni alla presentazione di esso.

Il minor consiglio inoltre aveva il potere di:

  • convocare il Maggior Consiglio quando lo ritenesse opportuno; poteva farlo anche un solo consigliere
  • attendere all'amministrazione della capitale,
  • vigilare sull'attività dei pubblici ufficiali
  • curare l'elezione dei nuovi
  • risolvere i conflitti di competenza che fossero sorti tra organi sia amministrativi che giudiziari, e indicava, in caso di dubbio, quale fosse il tribunale competente, prima ancora che il conflitto si manifestasse.

Una limitata competenza in materia finanziaria, la facoltà di disporre del danaro pubblico fino a 10 libbre di oro, fu abolita nel 1441. E alcuni anni dopo, nel 1446, il Minor Consiglio doveva rinunziare all'altra, importantissima, d'interpretare autenticamente le leggi.

I procuratori di San Marco

L'incarico di Procuratore di San Marco era a vita. Questa era la carica più importante nella Repubblica, seconda solo al Doge.

 

Veniva concessa ai patrizi - di famiglie meritevoli, per censo e posizione - che si erano distinti con i servizi prestati nelle ambasciate, nel comando delle armate e/o nel lungo esercizio delle principali cariche dello Stato.

Pare che un primo Procuratore sia stato nominato dal Doge nel IX secolo, con l'incarico di attendere alla fabbrica e alla custodia della Chiesa di San Marco.

Nel 1231, se ne aggiunse un altro e venne deferita la nomina al Maggior Consiglio.

Nel 1259, se ne aggiunse un terzo, nel 1261, un quarto, nel 1319, altri due e nel 1442, infine vennero portati a nove.

 

Nel 1269, fu delegata ai Procuratori la tutela dei pupilli e dei mentecatti, la soprintendenza all'esecuzione dei testamenti e alla tutela e recupero dei beni ereditari da essi amministrati.

Al principio del sec. XIV, i Procuratori vennero divisi in tre Procuratie:

  • La prima, detta de supra, attendeva all'amministrazione della Basilica di S. Marco;
  • la seconda, detta de citra, attendeva alle tutele, commissarie e testamenti dei sestieri di S. Marco, Castello e Cannaregio;
  • la terza, detta de ultra, alle tutele, commissarie e testamenti dei sestieri di Dorsoduro, San Polo e S. Croce.

Perché meglio potessero attendere ai loro compiti venne stabilito nel 1305 chenonpotessero prendere parte ai Consigli senza un decreto del Maggior Consiglio.

Nel 1388 venne stabilito che solo un Procuratore per Procuratia potesse essere chiamato a sostenere pubblici uffici.

Nel 1442 si stabilì che dovessero risiedere in pubbliche case nella Piazza di S. Marco.

Nel 1444 vennero esonerati dall'obbligo di intervenire alle sedute del Maggior Consiglio, purché non si fosse trattato di discutere decreti concernenti le Procuratie.

Nel 1453 vennero dichiarati senatori perpetui con diritto al voto.

Nel 1523 venne stabilito che nelle riunioni del Maggior Consiglio tre Procuratori per turno occupassero con arsenalotti armati la loggetta per garantire la sicurezza del Corpo Sovrano.

Nel 1569 venne ammesso che i Procuratori potessero assumere la carica di Savio Grande del Consiglio in ragione di due per Procuratia. Poi venne loro concesso di assumere anche altre cariche.
Venivano mandati all'estero solo come ambasciatori straordinari a teste coronate.

 

Dal 1516 in poi, in più occasioni, per sopperire ai bisogni dello Stato venne concessa questa dignità a patrizi senza meriti speciali e con la sola oblazione di ingenti somme di denaro, che variarono secondo i tempi da 12.000 a 100.000 ducati. Questi Procuratori, che avevano gli stessi diritti degli altri, erano in soprannumero e non avevano successione. In certe epoche arrivarono, con quelli per merito, al numero di quaranta.

Il consiglio dei X

Spettava al Consiglio dei Dieci:

  • la sorveglianza sulle corporazioni la cui attività, non frenata a tempo, avrebbe potuto riuscir dannosa allo Stato;
  • sull'arte vetraria tanto importante nell'industria del paese;
  • sui boschi, il cui legname era preziosissimo per i bisogni della flotta;
  • sulle miniere;
  • sulla Cancelleria Ducale, nella quale si custodivano gelosamente gli atti essenziali della vita dello Stato.
  • Infine per la buona amministrazione della cosa pubblica, della quale è condizione indispensabile il buon costume politico, ai Dieci era affidata la vigilanza sul broglio elettorale.

Alla tutela del cittadino e quindi alla quiete pubblica il Consiglio provvedeva disciplinando

  • l'uso delle armi,
  • la materia dei duelli,
  • la violenza nelle barche e quanto altro potesse arrecar offesa e turbamento nel popolo.

Infine per quanto riguardava il buon costume il Consiglio vi attendeva attraverso

  • l'attento regolamento del lusso,
  • degli spettacoli, delle feste, dei teatri,
  • delle maschere,
  • dei casini e delle sale da ballo,
  • della questua,
  • della decenza nelle Chiese e nei Monasteri,
  • della prostituzione

La iniziale competenza del consiglio venne pian piano allargandosi dal campo puramente criminale e di polizia al campo amministrativo, finanziario e sopratutto a quello della politica estera.

Accadde così che il Consiglio fosse spesso portato ad esorbitare dai limiti delle sue funzioni e fosse tentato di attrarre nella sfera dei suoi poteri materia politica che la costituzione affidava ad altri organi.
Di qui inevitabili reazioni, come quella del 1582, in seguito alla quale la trattazione degli affari segretissimi, già prima, per la loro natura, di esclusiva pertinenza del Consiglio dei Dieci, fu condivisa anche dal Collegio, che intanto era riuscito a porsi nella vita costituzionale veneziana come l'organo più idoneo a trattare la politica del paese; fu riaffermata la norma che i provvedimenti del Consiglio potessero essere intromessi da ciascuno degli Avogadori, norma, che per essere stata scarsamente applicata per l'addietro, aveva favorito gli sconfinamenti dei Dieci.

Si sottrasse alla sua competenza la sorveglianza sulla Zecca, sulla quale aveva avuto potestà fin dal 1350, per attribuirla al Senato, al quale fu data la libera ed esclusiva disposizione del pubblico danaro; si tentò di definire la natura degli affari segreti che i Dieci potevano trattare; si vietò loro infine di revocare o di modificare le parti del Maggior Consiglio.

Con questa riforma e con le altre successive (principale quella del 1628) limitandosi l'attività del Consiglio e riaffermandosi espressamente la sua competenza a conoscere di tutti i reati che direttamente o indirettamente rivelassero un interesse politico, si mirò a ricondurlo alla sua tipica funzione di tutore dell'ordine politico, a cui spesso esso aveva tentato di aggiungere la funzione di governo.

Ciò nonostante rimane vero che, dalla sua creazione in poi, il Consiglio dei Dieci manifestò sempre la tendenza ad usurpare la direzione suprema dello Stato.

Inquisitori di Stato

Nel 1539, il Consiglio dei Dieci scelse dal proprio seno una giunta di tre, che, col nome d'Inquisitori contro i propagatori del segreto (da non confondere con i preesistenti Inquisitori dei X che avevano una funzione istruttoria) cercassero i colpevoli di propalazione di secreti dello Stato.

 

Questa giunta fu nominata poi sempre annualmente, ma non costantemente, e, sulla fine del secolo XVI, prese il nome di Inquisitori di Stato e divenne permanente. Uno degli Inquisitori era scelto fra i Consiglieri ducali (rosso), gli altri due e quello di rispetto fra i decemviri (neri).

 

Le loro deliberazioni erano sempre sottoposte al vincolo del segreto.
Avevano la sorveglianza su tutto ciò che spettava alla sicurezza dello Stato e la punizione di quanto aveva apparenza di attentato a quella: erano di loro competenza

  • tutte le colpe politiche,
  • le trasgressioni della legge, che proibiva ai nobili di frequentare o corrispondere con personaggi stranieri,
  • le maldicenze contro il governo,
  • le mancanze di rispetto a chiese e monasteri,
  • i pubblici ritrovi, ecc. ecc.

Anche questo corpo che si intitolò il Supremo Tribunale ebbe tendenza ad assorbire la trattazione degli affari politici, e, interpretando estensivamente il proprio mandato, a esercitare una funzione preponderante, almeno di fatto, nella direzione della pubblica cosa. Negli ultimi tempi della vita della Repubblica era molto potente e si era anche tentato di reagire per ricondurlo entro l'ambito delle proprie facoltà legali; ma ormai la storia della Repubblica volgeva al termine.

Rapida era la loro procedura: il loro voto concorde era sentenza, che pubblicavasi nel Maggior Consiglio.

I correttori alle leggi

Fu giustamente osservato che nella legislazione veneta assai rare sono le ricompilazioni di leggi e statuti, tanto frequenti invece nei nostri Comuni, e fu notato pure, anche se in altra occasione, che ciò deriva da una forte coscienza della ininterrotta continuità del diritto.

Questo scopo appunto perseguivano i Correttori alle leggi della Repubblica Veneta. La stessa opera costante di adattamento del diritto alla realtà sempre in svolgimento, compiuta dal Pretore e dai giureconsulti romani, viene, sia pure sotto altra forma, perseguita dai Correttori veneziani.

La magistratura in questione fu un organo straordinario, creato dal Maggior Consiglio ogni qualvolta si riteneva opportuno apportare modifiche o agli statuti o alle leggi sull'attività o sulle stesse competenze dei Consigli. Il numero dei membri variò di volta in volta, come pure dovettero variare le stesse facoltà loro attribuite a seconda della natura delle leggi da riformare e degli scopi che si volevano raggiunti.

Un primo esempio di queste - per così dire - commissioni di riforma si trova nel 1280; ma con più evidenza nel 1325, anno in cui si trova un collegio di 25 savi per la riforma degli statuti. Altri esempi si hanno nel 1400 e nel 1416 per le correzioni ai capitolari, nel 1554, nel 1577, nel 1585, nel 1595 per le leggi sull'attività forense, e ancora per la stessa materia nel 1639, nel 1655, nel 1667, nel 1704, nel 1761, nel 1765 ed altre ancora.

Nel 1605, 1612, 1616, 1623, e ancora con maggiore ampiezza nel 1635, si istituirono correttori per la revisione dei capitolari dei Consigli

Avogaria de Comun

E' ignota la data di nascita di questo antichissimo magistrato che esisteva già nel sec. XII.

Pare che, dapprima, non avesse altra incombenza che di difendere i beni del Comune e di decidere le cause fra il fisco ed i privati; in seguito, le sue funzioni aumentarono sempre più, incaricandosi esso di tutto ciò che stava in armonia con la sua qualità di protettore e difensore dei diritti dello Stato e della legge.

Nel 1264, all'Avogaria fu attribuita la decisione degli appelli contro le sentenze di condanne capitali o al carcere o al bando, pronunziato nello Stato, e questa attribuzione essa conservò fino alla istituzione della Quarantia Criminale.

Dopo ad essa, rimase solamente il diritto di intromissione, cioè di giudicare se una istanza di appellazione ai Quaranta poteva essere accettata (dopo l'istituzione, avvenuta nel 1343, degli Auditori tale diritto si restrinse solamente alla materia penale).

Gli Avogadori avevano inoltre il carico di accusatori pubblici nei Consigli, potendo muovere querela anche contro i Consiglieri; la vigilanza sull'osservanza dei capitolari da parte dei rispettivi magistrati; l'esazione delle pene pecuniarie portate dalle leggi. Inoltre, uno di essi almeno, doveva essere presente alle deliberazioni del Maggior Consiglio e dei Pregadi, che potevano anche sospendere quando fossero contrarie alle leggi. Almeno uno di essi doveva intervenire in Consiglio dei Dieci a tutela della legge: non vi aveva voto ma solo facoltà di proposta e diritto di placitare le deliberazioni contrarie alle leggi.

Avevano inoltre il diritto di inquisire in materia di mancata obbedienza degli organi locali agli ordini del Dominio, di rivedere le casse degli uffici di S. Marco e di Rialto, di bollare gli scrigni per impedire le sottrazioni fraudolenti di denaro ed il peculato, di eseguire le confische ordinate dai Dieci, di supplire, con i Signori di Notte al Civil, gli altri magistrati nelle ferie e nelle vacanze ducali.

Fin dal 1319, ebbero l'incarico di vegliare perché nessuno entrasse senza avervi diritto in Maggior Consiglio e, a tale scopo, tenevano registri ufficiali di tutti gli ammessi; decidevano i casi dubbi per le ammissioni; rigettavano quelli che, dopo regolare procedura, si fossero trovati sprovvisti dei dovuti requisiti; istruivano i processi per riconoscere i diritti di cittadinanza e di ammissione a quelle cariche (es. cancellieri, ragionati, ecc.) per cui occorrevano speciali condizioni di famiglia.

Il numero degli Avogadori, incerto nei primi tempi, fu poi regolarmente di tre, a prescindere da quegli Avogadori straordinari che venivano eletti in numero di due in speciali occasioni, specie per rivedere i conti di coloro che avevano maneggiato denaro pubblico durante le guerre.

La durata della loro carica, in un primo tempo di un anno, fu, nel 1314, portata a 16 mesi; nel 1551, fu fissata una contumacia di ugual durata.

 

I Savi

Era costume di tutti i corpi governanti della Repubblica, in occasione di affari importanti, creare nel proprio seno od aggiungersi commissioni speciali destinate a studiare o a provvedere agli affari stessi; i loro componenti solevano chiamarsi «Savi» (Sapientes).

Alcune di queste commissioni o giunte (zonte; additiones), sia per la continuità delle circostanze, per provvedere alle quali erano state istituite, sia per altre ragioni, divennero stabili.
Tali furono quelle che, aggregate alla Serenissima Signoria, costituirono il Collegio.

SAVI DEL CONSIGLIO.

I Savi Grandi o Savi del Consiglio dei Pregadi divennero organo stabile intorno al 1380; il loro numero, vario nei primi tempi, rimase in via definitiva fissato a sei.
Duravano in carica sei mesi, ma venivano mutati a tre per volta, perché i nuovi fossero dai vecchi istruiti nelle cose del Saviato. Si alternavano nel loro ufficio ogni settimana, ed il Savio in funzione era perciò detto di settimana. Le loro funzioni erano amplissime; dovevano provvedere, come dice una parte del 27 marzo 1396, «omnibus et singulis spectantibus et pertinentibus consilio rogatormn ac dependentibus et connexis ab eis». La qual cosa si esplicava, tanto nell'esecuzione delle deliberazioni dei Pregadi, quanto - ed ancora di più - nella trattazione preventiva degli affari che dovevano decidersi in Senato. A questa altissima carica erano chiamati solo i più considerati e stimati patrizi.

SAVI DI TERRA FERMA.

Dei Savi di terra ferma ci parla una parte del 1420, e derivarono probabilmente da quei Savi straordinari alla guerra eletti nel 1412.
Erano cinque, e venivano eletti in Pregadi, parzialmente, come i Savi Grandi, alla fine di ogni semestre di carica: alternativamente tre e due. Furono aggregati al Senato nel 1432.
Per gli incarichi speciali che vennero loro assegnati vedi: Savio alla Scrittura, Savio alle Ordinanze, Savio Cassier.
 

SAVI AGLI ORDINI.

Dei Savi agli ordini si trova traccia certa nel Collegio solo nel 1402. Furono aggregati al Senato nel 1442. Erano cinque e venivano eletti come i Savi di T. F.. Ma non era necessario che facessero parte del Senato, come una consuetudine aveva fissato per i membri delle altre due mani.
Nei primi tempi era affidata ad essil'attività marinaradella Repubblica e la cura delle cose dello Stato da Mar, ma poi il saviato agli ordini diventò una specie di palestra per avviare i giovani patrizi al governo della cosa pubblica. Non avevano voto deliberativo nei consessi.

IL PIEN COLLEGIO

Le tre assemblee dei diversi Savi, riunite e presiedute dalla Signoria, formavano il Pien Collegio, il quale aveva sue proprie attribuzioni.

Anzitutto l'attività preconsultiva dei vari Saviati, oltre che singolarmente, veniva svolta sopratutto in Collegio. Normalmente le parti da proporre in Pregadi erano sottoposte alla discussione preventiva del Collegio. I savi competenti, però, non erano tenuti a seguire il suo parere.

Poteri deliberativi ne aveva pochi: non poteva disporre di somme superiori a 25 ducati; e poteva concedere grazie solo entro questo limite. Più ampie facoltà aveva nei rapporti con la Chiesa, perché era proprio al Pien Collegio deferito l'esame degli atti relativi, coadiuvato in questo geloso incarico dai Consultori in Iure.

Nel campo giudiziario doveva risolvere le controversie, sorte in materia di benefici ecclesiastici e di giuspatronati, quelle in materia di privilegi delle città suddite, e quelle sui dazii e gli appalti di gabelle. Ma queste ultime insieme ad altri organi.

Dava corso alle lettere pubbliche, alle ducali ed ai decreti dello Stato. Un aumento dell'importanza del Collegio si ebbe, nel 1526, quando gli fu data facoltà, sia pure sotto certe formalità, di non comunicare al Senato atti che ritenesse opportuno tener segreti (comunicate non lette); facoltà, che insieme all'altra di emanare decreti durante le vacanze del Senato (decreti mandantibus sapientibus) e a quella di sospendere l'esecuzione delle parti del Pregadi stesso, con l'obbligo di giustificarne i motivi nella seduta successiva, fecero del Collegio, specie nel 1700, in certo modo l'arbitro della politica della Repubblica.

Il Collegio riceveva gli ambasciatori degli stati esteri, i nunzi delle città suddite e i vescovi e prelati, sia sudditi per gli affari delle loro diocesi, sia esteri quando venissero a Venezia per ragioni della loro carica.

Cavalieri di San Marco

CAVALIERI DI SAN MARCO

La Veneta Repubblica aveva un solo ordine cavalleresco, quello dei Cavalieri di San Marco. Non si sa bene quando sia stato istituito l'ordine ma già nel secolo XV, veniva concesso dal veneto governo.

Ai patrizi e ai personaggi di maggior importanza era conferito dal Senato o dal Maggior Consiglio e alle persone di minor riguardo dal Doge.

L'insegna conferita dal Doge consisteva in una croce biforcata alle estremità di smalto azzurro orlato d'oro con nel centro il leone di S. Marco in maestà e veniva portato al collo con una catenina d'oro veneziana (manin) con fermagli lavorati.

Invece quella che veniva conferita dal Maggior Consiglio o dal Senato consisteva spesso, oltre che nella croce, in una ricca collana con medaglia, che aveva nel dritto il leone alato e nel rovescio un'iscrizione ricordo. Le collane più ricche erano del valore di più migliaia di ducati.

I patrizi veneti quando vestivano la toganonpotevano fregiarsi delle insegne, ed invece di queste usavano portare la stola della toga ordinaria filettata d'oro o la stola della toga di cerimonia di stoffa d'oro. Da questo uso venne la denominazione per i cavalieri patrizi di cavalieri della stola d'oro.

Non sempre la stola d'oro indicava, nei patrizi l'ordine di S. Marco, perché la portavano anche come insegna del cavalierato avuto da principi e sovrani stranieri nelle ambasciate e riconosciuto dal veneto governo al loro ritorno in patria.

Cancelleria Dogale e Cancellier Grando

Dalla metà del 400 la Signoria necessitava di personale per svolgere i numerosi e delicati incarichi della burocrazia di stato. Si riteneva non opportuno affidare questi compiti ai patrizi, dal momento che le famiglie nobili comunque partecipavano alla gestione politica dello stato, preferendo occupare cittadini comuni veneziani. 

Al fine di determinare un numero di persone civili e fidate, dal quale trarre il personale necessario si iniziò a conferire il titolo, che divenne ambitissimo, di “cittadini originari” a coloro che fossero in grado di provare agli Avogadori de Comun di essere nati, in Venezia o negli stati Veneti, da genitori legittimi, e da ascendenti di civile condizione per almeno 3 generazioni, e di essere immuni da condanne penali,

A questi cittadini la Repubblica dette, fino alla sua caduta nel maggio del 1797, grande onore e prestigio, e da essa traeva il personale della “Cancelleria Ducale”, e cioè la burocrazia dello stato.

A capo di tutta la burocrazia era il “Cancellier Grande”. Questi era capo di tutti i funzionari o, come si diceva a Venezia, “Ministri” dello stato ma godeva anche di prerogative, privilegi ed onori tra i più alti, secondi solo a quelli del Doge e dei procuratori di San Marco.

I decreti del doge e le leggi promulgate dal capo dello stato non erano validi se non erano controfirmati dal Cancellier grande; e, analogamente,dovevano essere controfirmati dal rispettivo Segretario i decreti dei regitori patrizi delle province soggette alla Serenissima Dominante, dei Comandanti Generali dell’armata o dell’Esercito.

L’Ordine dei cittadini originarii dunque, pur non avendo grado di nobiltà, costituiva una classe distintissima, che, per importanza e per alta considerazione, seguiva immediatamente il Patriziato.